Artavaggio
Mercoledì 25 settembre 2024
Artavaggio
Alle 12,20 di mercoledì 25 settembre 2024, arrivo al rifugio Nicola, dopo avere camminato oltre dieci chilometri e superato un dislivello di più di settecento metri. Ci sono volute tre ore di salita da viandante solitario, così come, successivamente, avrei affrontato la discesa. Tuttavia, questa, mi avrebbe impegnato per mezz'ora di meno.
Il tempo, umido stamattina presto, diventato poi variabile, si è trasformato in brutto ai prati di Artavaggio, dove mi trovavo verso le 11,30. Là, a quell'ora, è arrivata la nebbia e ha cominciato a piovere a tratti. Salendo, i vapori sarebbero andati aumentando fino a nascondere il rifugio anche quando sarebbe stato vicinissimo. Nè si poteva vedere, in tali condizioni, la piramide, quasi perfetta, del monte Sodadura, che è prossimo al rifugio medesimo. Intanto battevano, improvvise, brevi raffiche di vento che talvolta rovesciavano l'ombrello che tenevo ben stretto. Si sa che gli ultimi passi, specialmente se fatti con la fretta di arrivare, sono i più faticosi. Accade così che quello di fare delle fotografie, anche nei momenti cruciali, divenga l'ultimo dei pensieri. Peccato.
Appoggio i bastoncini e l'ombrello sgrondante su un ripiano fuori dalla porta prima di entrare.
Il rifugista si accorge che sono un poco stravolto e me lo dice. Lo sapevo che non avrei dovuto forzare sull'ultimo tratto ma volevo concludere. Scorro con lo sguardo tutti i presenti, che saranno una decina, a cercare facce note. Gli altri tre non ci sono.
Per convincermi, Giuseppe, ha dovuto telefonarmi diverse volte. La settimana passata mi aveva proposto di salire al rifugio Tagliaferri da Schilpario. E' un po' lunga, mi dice, ma potremmo arrivare soltanto alla cascata che c'è a metà. Quando mai questa combriccola si è accontentata della metà di un'escursione? Faccio qualche verifica, poi gli dico di no. Invece lui e la sua compagnia ci sono andati. Fin su al Tagliaferri, intendo. Hanno impiegato più di quattro ore per superare i 1.400 metri di dislivello. Ci sono volute tutte quelle ore, racconta, che significa che non hanno sostato mai. Il rifugio era aperto. Hanno mangiato qualcosa là, poi la discesa li ha impegnati per tre ore e mezza. Alle quali occorre aggiungere altre due ore, almeno, di viaggio in macchina, all'andata e lo stesso al ritorno.
Troppo per me.
Martedì 24 settembre, sempre Giuseppe, mi dice: "Domani facciamo una gita breve, tutta, o quasi, in piano: ho comprato degli scarponi nuovi e li devo collaudare con una passeggiata tranquilla. Partiamo dal Culmine San Pietro, ovvero il passo che collega la Valsassina alla valle Taleggio, arriviamo ai Piani di Artavaggio, poi da qui, raggiungiamo il rifugio Nicola e il monte Sodadura, la cima si intende". Conosco un poco la zona. Andare ad Artavaggio e al rifugio Nicola? Può anche essere una proposta interessante, dico. Ma il Sodadura, che richiede almeno un altro paio d'ore di salita, oltre il rifugio, proprio no. Vi aspetterò alla base. Per arrivare alle mete programmate, ci sono diverse possibilità, compresi due sentieri chiamati rispettivamente "Variante estiva" e "Variante invernale". L'intenzione, pur non espressamente dichiarata, era di utilizzare il primo all'andata e il secondo al ritorno. Niente di difficile, sulla carta come si dice, né per niente breve, come avrò modo di constatare.
Giuseppe mi viene a prendere con la sua Dodge, un modello raro dalle nostre parti, alle 5,45. Quindi passiamo dalla casa di Beppe, dove lui è già pronto. Nè si fa aspettare Francesco: arriviamo da lui alle 6,15. Non conosco nessuno di questi due compagni d'escursione.
Alle 7 sostiamo per un caffè presso un bar di Ballabio. Attraversato Moggio, saliamo fino al Culmine San Pietro dove lasciamo l'auto.
Ci muoviamo, a piedi, alle 7,40. Il terreno è umido, i prati bagnati, gli alberi sgocciolanti. Non fa freddo. Nuvolaglia grigia attraversa il cielo. Un'ora e mezza dopo sarei stato di ritorno ancora lì, al Culmine San Pietro. Da solo.
Poi in venti minuti, seguendo la strada provinciale 64, sarei arrivato all'imbocco della via bianca che sale, insinuandosi prima nel bosco, poi tra i pascoli, fino all'altopiano di Artavaggio dove si diramano i viottoli che portano ai diversi posti di ristoro e ai rifugi veri e propri che sono lassù.
Mi accorgo subito che loro sono troppo veloci per me. Cercando di stargli dietro mi viene il fiatone più volte. Mi aspettano, ma arranco. Presto mi sento inadeguato. Il sentiero, molto stretto perchè poco battuto, attraversa, a tratti dei prati bagnati e ripidi che mi paiono infidi. Tre o quattro volte Giuseppe, da un poco più in alto, mi grida "Da qui comincia il piano". Lo conosco fin dall'infanzia: è un burlone. La traccia di sentiero, invece, pare inerpicarsi, tra alberelli, erbe lunghe e nuvole vaganti, sempre di più. Così non va bene. Se continuassi in questa maniera, mi sfiancherei, gli altri romperebbero il loro ritmo, ciò che non voglio accada. Rinuncio quando dovremmo avere fatto tre o quattrocento metri di dislivello.
"Vi aspetto giù in paese, a Moggio, compro un giornale o un libro e vado a mangiare". "Vuoi le chiavi della macchina?". "No scendo a piedi". Allora Giuseppe mi propone la strada bianca che si imbocca, un paio di tornanti più in basso, in direzione della Valsassina. Salendo, in auto, abbiamo veduto dove inizia. "Ok, va bene. Mi sembra una buona idea". "Il percorso è diverso ma il punto d'arrivo è lo stesso. Ci vediamo al rifugio Nicola".
Gli altri proseguono verso i piani di Artavaggio, ma diversamente da quello che farò io, seguendo la traccia che chiamano "Variante estiva".
La strada bianca in questione è una via sterrata. per uso agricolo e forestale, che comincia proprio da uno slargo presso il secondo tornante che precede il Culmine San Pietro. E' chiusa da una sbarra sicchè i veicoli non autorizzati non possono accedervi. Quando la imbocco io, nel breve parcheggio, vi sono solo un paio di auto: ne avrei trovate alcune in più al mio ritorno. Un cartello prevede 2,10 ore per raggiungere il rifugio Sassi Castelli che, tuttavia, è parecchio più in basso di quello che intendo raggiungere. Proseguendo avrei trovato altri cartelli, frequenti, ben disegnati, quasi tutti di fattura recente. Oltre alla direzione per raggiungere le varie località, riportano il tempo occorrente e la distanza.
Sono le 9,15. Il mio altimetro indica 1.190 metri di quota. Il rifugio Nicola è a 1.900 metri. Non immaginavo, in quel mentre, che avrei impiegato più di tre ore per arrivare là, luogo dell'appuntamento, quello che avevo inteso, comunque.
Poco dopo la partenza incontro tre operai che, con una benna, stanno caricando dei tronchi di faggio su un autocarro. Non avrei incontrato più nessuno fino alla chiesina di Artavaggio. Sotto il portico della stessa c'è un tale in abbigliamento da escursionista. Mi chiede se sono io Alberto. Sta aspettando qualcuno, che non conosce, che si chiama così. Sono le 11,20 le nuvole sono sempre più basse: dalle creste montane stanno calando nel vallone. Piove a tratti. Si avverte una sorta di malinconico romanticismo. Il telefono non funziona già più, e questo è un gran guaio, lo so, date le circostanze. Sono in marcia da due ore, comincio ad essere stanco. Arrivano, e mi sorpassano, due persone che vanno anche loro verso il Nicola. Uno di loro indossa una mantellina gialla che nella nebbia si vede meglio di altre. Solo per un tratto riesco a star loro dietro. Li rivedrò all'arrivo.
Dal rifugio Nicola, mentre fuori piove ancora forte, tento più volte di chiamare. Lo fa anche il rifugista col suo apparecchio, ma neanche quello prende. La linea va e viene, mi dice.
Lì, al Nicola, non mi sanno dire se il vicinissimo rifugio Cazzaniga, sia aperto oggi. Si ignorano in un luogo così isolato? Sono in concorrenza? Forse perché l'uno è del CAI mentre l'altro è privato? Non l'ho capito. Naturalmente, nemmeno il Cazzaniga, in questo frangente, ha il telefono collegato.
Che faccio? Dei miei compagni di gita non so più nulla. Di qua non sono, finora, passati. Prendo una lattina di birra, che poi avrei lascia quasi tutta lì, un piatto di risotto giallo asciutto che mangiucchio mentre insisto col telefono spostandomi dove il rifugista mi dice che poterebbe collegarsi. Spendo 10 euro. Metto il timbro del rifugio sul mio taccuino. Alle 12, 50 mi decido a lasciare il Nicola.
Giusto per non trascurare niente, passo dal Cazzaniga, che è proprio lì a poche centinaia di metri, ci vorranno cinque o dieci minuti per arrivarci.
Entro nel rifugio Cazzaniga Merlini alle 13. Fuori non c'è segno di vita. Intanto la pioggia è diminuita, la nebbia un poco diradata. Il salone appare vuoto. "Oltre a lei, non c'è nessuno?" chiedo al rifugista, un omone dalla gran barba, cordiale e simpatico. "C'è il mio socio che è seduto là dietro". "Cerco tre signori. Ci siamo persi". "Tre signori che ne cercavano uno, hanno pranzato qui. Sono andati via da poco". "Ci siamo divisi, poi persi. I telefoni non prendono". Mi propone un caffè doppio. Lo prepara subito, lo fa buonissimo. Non vuole che lo paghi. Mette il timbro del Cazzaniga Merlini sul mio taccuino. Ci sono ben tre casette del concorso regionale Girarifugi: anche da questo si capisce che questo edificio, riferimento e ricovero per gli alpinisti, richiede un lungo cammino per essere raggiunto. Ringrazio e saluto.
Rifletto. I miei tre si sono fermati al Cazzaniga, hanno mangiato pizzoccheri, poi sono ripartiti senza verificare se io fossi al Nicola come effettivamente era. Vuol dire che, se mai ci hanno pensato, avranno dato per scontato che io là non ci fossi. Un equivoco, un malinteso tra noi.
Scendo a passo svelto per quanto posso. L'apparecchio che ho in tasca segnala che mi muovo alla velocità di 5 - 5,2 chilometri all'ora.
Mezz'ora dopo avere lasciato il Cazzaniga, il telefono di Giuseppe aggancia il mio. Alleluia! Loro sono più avanti di me, sono più giù. Pensavano che mi fossi limitato a tornare al parcheggio della nostra auto e che fossi rimasto là ad aspettarli. Perché mai? Io avevo inteso che avessimo un appuntamento al rifugio Nicola quindi là mi sono diretto. Là sono arrivato.
Adesso che sono nel bel mezzo dei prati dei Piani d'Artavaggio, Giuseppe, mi propone di seguire lui e gli altri due mentre si stanno apprestando ad imboccare la "Variante" più alta. Del fatto che abbia fatto bene a dir loro di no, ho avuto conferma, più tardi, al parcheggio, dove, commentando l'impresa con altri escursionisti che lassù erano stati anche altre volte, hanno detto delle difficoltà incontrate per trovare la direzione: segnaletica carente; la traccia di sentiero, già esile, nascosta dalla vegetazione; arbusti e tronchi di traverso, piccole frane...
Nella lunga discesa non incontro nessuno a piedi. Mi sorpassano, invece, tre o quattro gipponi compreso uno con le insegne del rifugio Nicola. Piove, smette, ripiove ma mai intensamente. Tengo pronto l'ombrello. Finalmente alle 15,30 giungo al parcheggio presso la stanga. Anche loro, gli altri tre, praticamente in contemporanea, hanno completato il percorso. Alle 15,40 li rivedo, alfine, quando arrivano in auto dal Culmine San Pietro dove il sentiero del quale si erano avvalsi, finisce.
Bene. Al volgere della giornata siamo tutti sani, tutti salvi mentre gli scarponi nuovi di Giuseppe hanno superato il collaudo.
Partiamo alle 15,40. Lasciamo prima Francesco, poi Beppe, presso le rispettive abitazioni. Sono a casa alle 17,20.
Mario Usuellii