Balicco
Mercoledì 16 settembre 2020
Balicco
Siamo arrivati sù, al rifugio Balicco, alle 11,40 rispettando quasi alla perfezione il tempo, un'ora e trenta, indicato dal cartello all'inizio del sentiero. Infatti avevamo lasciato l'auto al tornante numero nove della provinciale che da Mezzoldo porta al passo san Marco, alle 10,05. E' ben segnalato e molto ben curato questo percorso che inizia con un bel tratto ondulato tra abeti e prati. Si devono attraversare anche quattro sparuti ruscelli, senza difficoltà alcuna. Poi inizia una salita zigo zago che porta sù di quota. Si incontrano diversi alpeggi dei quali alcuni sono ben tenuti. Una targa per ciascuno indica il nome e la quota. Del rifugio Balicco si vede la bandiera, che indica che è aperto, solo quando si è vicinissimi. Questo, per chi non c'è mai stato, impedisce di valutare quanto manca alla meta quando, considerando il tempo dedicato, in teoria, si dovrebbe essere già là. Vi sono, in prossimità del rifugio vero e proprio, a marcarne la singolarità, due alti coni, costruiti coi sassi, sui quali poggiano diverse file di bandiere nepalesi che fanno un bell'effetto.
E' un settembre anomalo questo. Fa caldo qui a 2000 metri di quota come in pianura, l'aria è tanto opaca per l'umidità che risultano fosche anche le fotografie al paesaggio.
Abbiamo fatto poche soste e una gran sudata per arrivare qui.
La rifugista, una donna giovane, ci porta le birre, che le abbiamo chiesto, ad uno dei tavoli che sono sulla balconata esterna. Ci sono tutte le condizioni canoniche per apprezzare una birra. Chiedo a uno degli altri escursionisti presenti di fare una foto, col mio telefono, a me e a Innocente. La trasmetto subito ad amici e conoscenti accompagnata dalla didascalia "Saluti dal rifugio Balicco. il percorso è risultato più lungo e ostico del previsto. Una bella faticata" che, ripensandoci adesso, è un poco enfatica ma che venne inviata quando avevamo ancora percezione fisica dello sforzo effettuato.
Dico alla signora del rifugio che abbiamo faticato non poco per arrivare fino a lì. Certo, risponde lei, è dipeso dal fatto che man mano che voi vi avvicinavate noi spostavamo più in là il rifugio. Ah, rispondo io, è come il "Castello errante di Owuls" o come cavolo si dice. Le spiego che mi riferisco a un lungometraggio, un cartone animato molto ben fatto, del regista giapponese Miyazaki, una fiaba filosofica, dove è protagonista un fantasmagorico castello che si aggira tra i monti e le valli su delle zampe mosse da un marchingegno strampalato. Lei prende l'appunto. Lo cercherà. Non sono sicuro di come si scriva il nome. Telefono a Carmen che mi sillaba il nome che ripeto ad alta voce: castello di H O L W. Presto, tuttavia, arriva un messaggio: Howl non Holw: ha controllato. Preso allora un cartoncino che riporta i dati del rifugio, trascrivo bene "Il castello errante di Howl" regia di Hayao Miyazaki. Poi lo consegno all'interessata.
Dalla porta della cucina entra una bimbetta, di forse un anno d'età, in braccio al suo papà. E' Amelia, come la protagonista del film francese "Il favoloso mondo di Amélie" del regista Jean-Pierre Jeunet, precisa la sua mamma. Così, come citazioni cinematografiche, siamo alla pari.
Oltre a questa famiglia, a presidiare il Balicco, un rifugio piccolino, tutto, apparentemente, fatto di legno, c'è un altro signore che si vede lavorare in cucina. Come avventori, noi due compresi, oggi, siamo in sette. Chiedo come è andata questa stagione tanto anomala. Non male, secondo il rifugista. Adesso dovranno valutare fin quando mantenere aperta la struttura: dipenderà dall'affluenza e dal tempo meteorologico. Del resto è alla metà di settembre la data classica di chiusura dei rifugi.
Il menù del rifugio non è molto elaborato ma comprende una zuppa nepalese che, secondo i nostri vicini di tavolo, avrebbe effetti afrodisiaci altro che il Viagra. La rifugista ci spiega come vien fatta ma non prendo nota e a memoria, adesso, potrei sbagliare ad indicare qualche essenziale componente della pozione.
Non ci pare il caso di assaggiarla ché dobbiamo tornare giù a piedi.
Prendiamo invece un piatto di ottimi ravioli ciascuno e un tagliere di formaggio e affettati per due. Ancora birra, oggi ci vuole, e anche acqua dalla caraffa. Eravamo quasi disidratati.
In tutto spendiamo 52 euro.
Veniamo via alle 12,55 mentre una nebbia densa si insedia sulle cime d'intorno. Tuttavia non pioverà. Arriviamo al parcheggio alle 14,20 senza incontrare nessuno tranne una signora, accompagnata da un cane minuscolo, quando siamo ormai prossimi alla strada provinciale. Nemmeno salendo avevamo incrociato alcuno.
Guida Innocente che è più bravo a farlo di me, anche se la macchina è la mia.
Passandoci accanto individuiamo gli accessi ai percorsi di precedenti gite da queste parti, nella zona di Mezzoldo cioè. Ecco dove parcheggiammo, quando, io e lo stesso Innocente salimmo al passo san Marco seguendo i percorsi degli alpeggi forse già tre o quattro d'anni fa. E là è dove imboccammo la via Priula, quella che in età medievale collegava Bergamo a Morbegno, quando ci perdemmo nella selva tra valloni, boscaglie e dirupi. Tentammo, per quanto potemmo, di raggiungere la diga e la vicina chiesetta della madonna della neve, sulla strada che ora percorriamo in auto, che vedevamo vicine. Risultò impossibile arrivarci e dovemmo tornare indietro attraversando passaggi difficili. Questo accadde il 17 settembre 2011 e ne ho scritto una relazione che si intitola, non per niente "Selva". Appunto. Con noi c'erano, coinvolte nell'avventura, anche Carmen e Giovanna.
Lungo la valle Brembana viaggiamo bene. Come stamattina del resto. Meglio al ritorno l'attraversare i paesi dell'area industriale bergamasca. In mattinata avevamo incontrato un traffico densissimo tanto che abbiamo impiegato un'ora buona, tra le 8 e le 9 circa, per attraversarla. La prossima volta sarebbe meglio partire prima.
Siamo a casa alle 16,30 dopo avere percorso in tutto 155 chilometri.
Mario Usuelli.
Insieme a me ha partecipato alla gita Innocente Misani.