Camuzzago
Domenica 15 ottobre 2023
Camuzzago
Nell'ambito delle Giornate FAI d'autunno, sabato 15 e domenica 16 ottobre 2022, la Delegazione del vimercatese ha proposto delle visite guidate alla chiesa di Camuzzago, una frazione del comune di Bellusco.
Questa l'intitolazione dell'iniziativa: "Otto secoli di storia nel borgo di Camuzzago. La chiesa di Santa Maria Maddalena e gli affreschi di Bernardino Butinone"
La messa a punto dell'evento è stata lunga e minuziosa. Oltre alla soluzione di complessi aspetti puramente organizzativi, ha comportato sia diversi sopralluoghi per studiare e prendere confidenza con il sito che la preparazione di una dispensa, curata in questo caso da Giovanni Pennati e Andrea Castagna, da porre a disposizione dei volontari che avrebbero svolto il compito di accompagnare i cittadini interessati al monumento che avrebbero visitato.
Nella dispensa per Camuzzago, oltre ad un compendio di quanto di interessante vi è da esporre composto da sedici pagine, sono indicate anche le tappe del percorso di visita e il tempo da dedicare a ciascuna di esse.
L'organizzazione prevede la prenotazione da parte dei visitatori con la partenza, ogni mezz'ora, di gruppi di quindici persone accompagnate da un narratore del FAI. La visita viene effettuata anche quando le persone sono in numero inferiore a quello previsto, mentre non vengono respinti coloro che si presentano, specialmente a fine giornata, in quantità superiore.
Infatti, io, ho accompagnato, complessivamente nelle due giornate, cinque gruppi formati da un minimo di due a un massimo di trenta persone.
Ogni approccio è un po' diverso dall'altro, oltre che per il numero dei partecipanti, anche per i contenuti pur se, come detto, la base comune data dai contenuti della dispensa, li ha uniti tutti.
Un'ora di tempo è la misura giusta per prendere conoscenza, non specialistica certo, del monumento del quale si propone l'attenzione.
Ci sono toccate in sorte due belle giornate tiepide e prive di pioggia.
La conformazione del sito induce alla suddivisione della visita in due parti. La prima, all'esterno, non presenta problemi di sorta. Invece, prima di entrare nell'edificio, occorre curare che il gruppo partito in precedenza sia già uscito. Infatti in quell'unico vasto ambiente, il rimbombo fa sì che due voci di narranti insieme si disturbino a vicenda.
Trovo curioso che, aggregata ad uno dei gruppi, ci sia anche una coppia di giovani che, pur abitando a Camuzzago da un paio d'anni, non hanno mai visto la chiesa all'interno perché sempre chiusa.
Sosta sul lato a nord.
Mi presento semplicemente con nome e cognome. Seguirò la traccia definita dalla dispensa, dico. Tuttavia, quasi inevitabilmente, nel corso del mio racconto, affioreranno alcuni aspetti dei miei personali interessi culturali oltre che del mio rapporto con questo luogo. E' di queste variazioni che dirò, più che altro, qui.
Ho appuntato sulla giacca, bene in vista, un grande distintivo del FAI il che mi dà un vantaggio iniziale basato sul prestigio della Associazione. Sono consapevole che il valore dell'esperienza della visita, da parte di ciascuno dei partecipanti, sarà data dal complesso rapporto tra il contatto diretto con la fisicità dell'edificio, la sua descrizione, il vissuto, le esperienze, le competenze individuali.
All'inizio occorre fare una sintesi estrema della storia del luogo.
Camuzzago, che adesso si trova in una posizione riservata, discosta dalle attuali vie principali, era posto, alle sue origini, sull'importante strada tra Vimercate e Trezzo. Qui, a partire almeno dal XI secolo, i Cavalieri del Santo Sepolcro ospitano, per loro statuto, i pellegrini che si recano in Terrasanta, oltre che, sicuramente, anche gli altri viaggiatori.
Alla chiesa romanica dedicata a Santa Maddalena, si aggregarono, progressivamente, le abitazioni e gli altri edifici utilizzati da coloro che lavoravano le terre limitrofe man mano che venivano rese coltivabili. La convergenza di favorevoli condizioni politiche, economiche, organizzative e sociali, rese quello di Camuzzago uno dei conventi più floridi della regione.
Conclusa l'epopea delle crociate, tutti coloro che ne furono espressione, perdono di importanza.
Fu così che nel XVI secolo, ai Cavalieri del Santo Sepolcro, subentrano i monaci benedettini di San Pietro in Gessate.
A Camuzzago, con l'avvento di questi, inizia l'epoca delle grandi ristrutturazioni e delle migliorie sia delle strutture agricole che del convento e della chiesa. Questa mutò completamente di aspetto. Inoltre furono realizzate le decorazioni e gli affreschi opera, per dire di quelli maggiori, di Bernardino Butinone da Treviglio.
In quel periodo fu eretta anche la torre campanaria che conferisce, tutt'oggi, un profilo caratteristico a Camuzzago.
L'espulsione dei Benedettini coincide con le vaste riforme promosse, negli ultimi anni del Settecento, dall'imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena. In seguito a ciò la chiesa e le strutture attigue vennero assegnate all'orfanotrofio dei Martinitt di Milano che poi le vendette a privati.
Si stima che verso il 1950 a Camuzzago abitassero più di quattrocento persone.
Il rapido declino dell'insediamento incominciò intorno al 1960. Già vent'anni dopo non vi erano più che pochissimi abitanti. La chiesa era stata abbandonata già nel 1959.
La grande cascina si ridusse a rudere, la chiesa ad aula vuota.
La ricostruzione, e l'ampliamento, che ha portato alla situazione attuale, avvenne tra il 2006 e il 2011.
Esterno
Che io sappia non sono stati trovati grandi massi erratici nel territorio vimercatese. Invece i ciottoli trascinati dai ghiacciai, dalle dimensioni comprese tra un centimetro e un paio di decimetri, sono frequentissimi. Sono gli stessi che si vedono punteggiare, ancora oggi, i campi appena arati.
I muri fatti coi ciottoli glaciali, così levigati e tondeggianti, non sono facili da erigere e richiedono un legante molto tenace.
Anche l'argilla si trova, in questo caso, scavando un poco. Tuttavia i mattoni di buona qualità si ottengono solo cuocendoli in fornaci in grado di raggiungere i 1000 gradi. Se il materiale che li costituisce non è vetrificato tende ad assorbire l'umidità e quindi a sfaldarsi. E' difficile ottenere un simile livello qualitativo nelle piccole fornaci impiantate presso i cantieri ed alimentate a legna.
L'utilizzazione, in epoche successive di sassi o di mattoni, rispecchia, in modo molto evidente nella chiesa di Camuzzago, tecniche e concezioni dell'edificare differenti.
I muri costruiti utilizzando i ciottoli glaciali, collocati ordinatamente a spina di pesce, definiscono l'aspetto originario della chiesa, costituita da un'alta navata centrale affiancata da due laterali molto più basse.
E' possibile che, a quel tempo, grandi figure di santi fossero dipinte sulla facciata, come era usanza, per segnalare, da lontano, la presenza di un ostello per i viandanti. Forse San Mauro, successore di San Benedetto o San Cristoforo, deputato alla protezione dei viaggiatori dalla morte improvvisa, come lo si vede ancora oggi sui muri esterni di minuscole chiese ancora intatte perché poste in località marginali e poco frequentate come la val di Funes. Comunque sia stato, di pitture sui muri esterni della chiesa di Camuzzago, adesso, non vi è traccia.
Le modifiche, effettuate tra il Seicento e il Settecento, portarono l'edificio ad assumere l'attuale forma a capanna quando le navate laterali furono portate all'altezza di quella principale. Queste aggiunte, caratterizzate da due finestrelle ottagonali aperte sulla facciata e da alcune aperture rettangolari sui lati nord e sud dell'edificio, sono state costruite con mattoni protetti da intonaco. I locali che vennero ottenuti furono utilizzati anche per allevare i bachi da seta.
La torre campanaria, anomala nella posizione, è costruita tutta in mattoni, salvo alcuni inserti orizzontali fatti di ciottoli glaciali.
Ricordo com'era, Camuzzago, quando ci venivo con mio nonno, col carretto attaccato alla mula, tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio dei Sessanta. La cascina era popolatissima di gente e di animali grandi e piccoli, asini, mucche, maiali, gatti, galline, anatre, oche, cani, carri agricoli, panni stesi, fieno, legname, utensili e arnesi, le pannocchie del granoturco di semenza appese ai travi del portico, i bambini che correvano nel cortile. Un gran movimento.
Vi erano il Circolo, luogo di aggregazione in particolare modo per gli uomini, e un negozio, rivendita di pane e di altri generi alimentari. La corte, come quella dei paesi dei dintorni del resto, era frequentata dai venditori ambulanti presso i quali si trovava quasi tutto ciò che poteva servire.
Nella mia classe delle elementari a Bellusco, su trenta alunni, cinque venivano da Camuzzago. La chiesa, competenza della parrocchia di Ornago, era scelta di frequente per la celebrazione di matrimoni.
La vedo com'è adesso. Non c'è nessuno in giro, nessuna voce né rumore, il grande edificio parrebbe disabitato, nessun filo d'erba fuori misura, nessuna scrostatura di muro che si noti. Gli automezzi hanno un ingresso separato sul retro così che, per tutto il tempo che siamo rimasti là davanti, abbiamo visto attraversare il portone principale solo, sporadicamente, da singole persone col cane al guinzaglio da portare a passeggio.
Camuzzago che fu colma del lavoro e della vita dei paesani, dei loro figlioli e degli animali che, insieme, contribuivano a popolare la cascina, adesso appare come imbalsamata e con i cortili vuoti di gente.
Sono bastati pochi decenni perché si verificasse la trasformazione da attivo insediamento produttivo rurale alla riduzione a rudere, quindi addivenire alla metamorfosi in asettico condominio di lusso un po' triste.
Buona parte di coloro che fisicamente abbandonarono Camuzzago, andando ad abitare chi a Ornago, chi a Bellusco, con lo spirito e con la mente, sono rimasti ancora là.
Gli abitanti attuali sono tutt'altro di chi li ha preceduti. Sono di un'altra epoca, provengono da ambito culturale differente, appartengono ad un altro mondo.
Entriamo
L'interno è vuoto. Non ci sono panche o sedie né altri arredi che pure compaiono in fotografie scattate pochi decenni fa. Anche le balaustre sono state tolte. Nè so che fine abbiano fatto tutti quei materiali.
Si sa, invece, che la cosiddetta pala di Camuzzago, una pregevole rappresentazione della 'Deposizione di Cristo nel sepolcro' è conservata presso il deposito della Pinacoteca di Brera a Milano. Perciò non la si può andare a vedere. Invece il quadro che riguarda San Mauro abate è visibile presso la chiesa parrocchiale di Ornago dove fu accolto. Entrambe di autore ignoto, in origine, questi dipinti erano collocati, rispettivamente, l'uno nella cappella Nord, l'altro in quella Sud.
Il pavimento, in leggera salita, è un accorgimento prospettico che mette in maggiore risalto il presbiterio. Su una lapide fissata sopra l'ingresso si legge: "Anno 1152/sacra haec aedes/cosructa/a monachis s.sepulchri/successu temporis transit in iura monachorum s.Benediti"
Vi è una grande carenza di dati sulla lunghissima esistenza di questo insediamento. Risaltano allora per importanza i dettagliati resoconti delle ripetute visite pastorali che riguardavano le condizioni e la consistenza dei beni immobili oltre che, ovviamente, la regolarità delle registrazioni dello "status animarum". Tuttavia si trattava di ispezioni effettuate in applicazione della Controriforma. Sono quindi relativamente recenti.
Notevole importanza va attribuita al lavoro di Graziano Alfredo Vergani che ha condotto studi dettagliati sugli affreschi quando si lavorava al ripristino dell'insediamento camuzzaghese, descrivendo le modalità tecniche utilizzate, indagando sui tempi di realizzazione delle opere, indicando, quando fu possibile, gli autori. Sotto il titolo di "Nuove considerazioni sul ciclo di affreschi attribuito a Bernardino Butinone nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Camuzzago", quelle ricerche vennero pubblicate nel 1985 dalla "Rivista di Storia dell'Arte Lombarda".
Alcuni dipinti posti sui pilastri sono attualmente illeggibili. Ai tempi dell'abbandono qualcuno tentò di asportarli, talvolta riuscendoci, altre volte abbandonandoli rovinati.
Nei tondi sopra gli archi della navata principale sono raffigurate alcune delle più diffuse espressioni della simbologia cristologica: l'uva e i tralci; il ki-ro con l'alfa e l'omega; il pellicano; la navicella; la fonte della salvezza; il nodo di Salomone; l'Agnello con lo stendardo; i pani e il pesce; la stella di Davide.
Mi accorgo che nessuno, tra i visitatori che accompagno, sa cosa rappresenti il ki-ro. Sono le prime due lettere del nome di Cristo, scritte sovrapposte, nei caratteri propri dell'alfabeto greco.
Di ciascuno degli altri simboli ci sarebbe parecchio da raccontare. Tuttavia, data la ristrettezza del tempo a disposizione, preferisco rivolgere l'attenzione ad alcuni dei dipinti presenti sui pilastri e nell'abside.
Sul secondo pilastro a destra vi è un affresco del XVI secolo che raffigura una Madonna del latte la cui mammella è stata abrasa.
Immagini che rappresentano la madre che allatta il suo bambino, quella che si chiama la Madonna del latte appunto, sono molto diffuse nelle chiese della Brianza. Di recente ho veduto il quadro che c'è a Concesa che rappresenta quella cui è dedicato l'intero santuario. Per contro, non ho notizie che nello stesso nostro territorio vi siano, o vi siano state, rappresentazioni di Madonne in evidente stato di gravidanza, le Madonne del parto.
Celebre è la Madonna del parto, dipinta da Piero della Francesca, che si trova a Monterchi in provincia di Arezzo. All'opera, che è di grandi dimensioni, è dedicato, da poche decine di anni, uno specifico museo.
In precedenza il dipinto era conservato nella cappella del cimitero dello stesso Monterchi. Si ritiene che quella collocazione decentrata lo abbia salvato dalla distruzione che toccò ad immagini dal medesimo soggetto così come era stato imposto dalla Controriforma.
Chi volesse verificare com'era la Madonna del parto di Piero della Francesca quando si trovava, come detto, nella cappella attigua al cimitero di Monterchi lo può fare guardando la lunga sequenza presente nel film "La prima notte di quiete" che Valerio Zurlini girò nel 1972.
Della magnifica, complessa, immagine che stiamo osservando, qui a Camuzzago, mi limito a far notare un unico dettaglio: la mammella è stata abrasa.
Sarebbe interessante, ma è impossibile, risalire all'epoca dello sfregio. Ne parla comunque già Angelo Arlati nel suo libro del 1985.
Per dire della pervasività e della tenacia di coloro che ritengono turpe e osceno riferirsi a talune parti del corpo umano col nome che gli è proprio, ad uno dei gruppi, racconto un episodio, di carattere personale, accaduto pochi anni fa.
Quando lavoravo presso il Servizio Sanitario Nazionale mi accadde di occuparmi di prenotazioni di visite specialistiche e di esami di laboratorio. All'epoca, precedente a quella dell'avvento dei sistemi elettronici di scrittura, era scontata la difficoltà di lettura della proverbiale terribile grafia dei medici prescrittori. Una ulteriore difficoltà era data dal fatto che per il medesimo esame o visita richesta, ciascuno dei medici utilizzava l'espressione propria del periodo e dell'università presso la quale aveva studiato. Le differenze erano tanto marcate che gli impiegati addetti alla registrazione, spesso, ed era affare di ogni giorno, non ne venivano a capo e occorreva consultare i tecnici dell'ospedale oppure, come ultima risorsa, telefonare al prescrittore per capire cosa intendesse con quanto aveva indicato sulla ricetta. Ciò comportava notevoli perdite di tempo, equivoci ed errori.
Finalmente, era il 1996, il Ministero della Sanità pubblicò l'elenco ufficiale delle prestazioni erogabili nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale con la descrizione delle prestazioni medesime, l'attribuzione di un codice numerico a ciascuna di esse, la specificazione delle tariffe oltre ad altre indicazioni di carattere tecnico.
Gli interventi sulla mammella erano, e credo siano ancora, classificati col codice iniziale 85 seguito da altri numeri utilizzati per indicare ogni caso specifico.
Il Direttore sanitario, quando mi chiamò al telefono, aveva attivato la funzione di viva voce. Infatti dal parlottio sottostante si capiva che aveva davanti a sé alcune persone. Intesi che avrei dovuto fornire delle spiegazioni, non tanto a lui che era pienamente al corrente della questione, quanto ai suoi ospiti. Per una ragione che non conosco aveva ritenuto di chiedere l'avallo di un tecnico dell'ospedale, che in quel caso ero io, ad argomenti che, certo, aveva già presentato lui.
No, dissi, in maniera che m'intendessero quegli sconosciuti, non è possibile sostituire il termine "mammella" con un altro. E quale poi? Un eufemismo, una parola gergale stravagante, un'espressione in lingua straniera? Torneremmo alla confusione prescrittiva e avremmo contro il Ministero, la Regione e tutti i medici del comprensorio. "Mammella" non è parola volgare, sconveniente o addirittura oscena. E', nella definizione dello Zingarelli, 'la ghiandola cutanea caratteristica dei Mammiferi, che nelle femmine ha la funzione di secernere il latte dopo il parto'.
E bastò così.
Sul terzo pilastro a sinistra è rappresentata Santa Apollonia. Il suo nome è scritto, chiaramente leggibile, alla base dell'affresco che è sbiadito, scolorito. Le storie che la riguardano sono variegate, incerte, contraddittorie come sono di frequente quelle che si riferiscono ai tempi più antichi. In una di queste si racconta che, dopo che le erano stati cavati tutti i denti, si sia gettata da sé nel rogo per non essere tentata dall'abiura e per conservare la verginità.
E' considerata la protettrice dei dentisti.
Nonostante l'inaffidabilità delle fonti biografiche che la riguardano, Santa Apollonia non è mai stata tolta dall'elenco ufficiale dei santi e dei beati della Chiesa Cattolica ma è tuttora patrona di varie parrocchie. Tra quelle lombarde si possono citare quelle di Abbadia Lariana e Viganò in provincia di Lecco; Asso e Cantù in provincia di Como; Rivolta d'Adda in provincia di Cremona.
Nella seconda metà del Settecento, nell'ambito di una iniziativa intesa a mettere ordine nel culto delle reliquie promossa da papa Pio VI, soltanto in Italia, vennero raccolti tanti denti attribuiti alla Santa da riempirne una cassa.
La conservazione di parti del corpo, le più disparate, di personaggi riconosciuti quali eroi della fede, oggetto per ciò stesso di venerazione, risale ai tempi dei primi cristiani. E riguarda, per lo meno, l'intera Europa. Tentare di interpretare il senso e il valore delle reliquie utilizzando i concetti di vero o di falso riguardo ai reperti, oppure applicando in maniera pedestre il principio della non contraddizione, è del tutto fuorviante. La rete dei significati legati alle credenze, alla storia e alla vita delle persone che appartengono a comunità che riconoscono ad esse validità ed efficacia è complessa, difficilmente sondabile. Qui opera l'energia simbolica che contribuisce a contrastare la paura ancestrale dell'ignoto, dell'incomprensibile. E' uno degli ambiti, questo, che le istituzioni del potere, religioso o statuale, hanno costantemente cercato di regolamentare per impossessarsene, senza mai riuscirci del tutto.
Senza soffermarci molto, osserviamo le pitture di minori dimensioni che rappresentano Tobiolo, gli Arcangeli, Pietro e Paolo. Poi anche i tondi con Dio padre e due santi.
Qualcuno mi fa notare che la nicchia sopra l'altare maggiore è vuota. Che c'era? Non lo so. In una fotografia vecchia di almeno trent'anni la si scorge occupata da una statua ma non si può indovinare chi vi fosse raffigurato.
Le pietre consacrate di due dei tre altari sono state asportate. Le sedi dov'erano poste sono vuote. Un solo altare ha conservato la sua. E' quindi rimasto l'unico adatto alla celebrazione della messa.
I fori dove passavano le corde utilizzate per suonare le campane si notano, sul soffitto, al limitare dello spazio riservato al presbiterio.
Una posizione comoda, dovuta alla posizione della torre che ospitava i bronzi.
Nel presbiterio si trovano gli affreschi maggiori di questa chiesa, per dimensioni e per importanza. Tutti questi dipinti dovrebbero essere stati realizzati verso l'inizio del XVI secolo.
L'insieme è mirabile.
Quelli presenti sui lati sono denominati, per convenzione, rispettivamente, "Cena in casa del fariseo" e "La comunione della Maddalena". Al centro, la cuvatura della vòlta è interamente occupata dalla interpretazione dell'episodio evangelico di "Cristo che appare alla Maddalena".
Questa è la scena principale di tutta Camuzzago. Si vede, appunto, Cristo, che, reggendo l'asta dello stendardo bianco e rosso che sta ad indicare che è risorto, appare a Maddalena la quale reca i balsami dei morti. Lo stesso Cristo è inserito in un'aura raggiante a forma di mandorla che è intesa a proclamare la sua duplice natura, umana e divina. Infatti, sovrapponendo una parte di un cerchio posto a rappresentare l'una natura, con quella di un secondo cerchio che si riferisce all'altra, si va a costruire, appunto, una forma di mandorla.
Non mi avventuro nella descrizione o nel commento dei dipinti perché mi perderei.
Preferisco fare qualche accenno alle fonti cui fecero riferimento i committenti del lavoro e, in subordine, seguendo quelli, gli esecutori.
I vangeli canonici raccontano molto poco di Maddalena. Dicono che, in Galilea, aveva seguito Gesù, che da lei aveva scacciato sette demoni, e che con lui era salita a Gerusalemme. Poi narrano che ella fu presente sul Golgota, quindi nel luogo dove venne deposto Gesù morto. Là tornò recando l'occorrente per l'imbalsamazione. Lui le apparve dicendo la frase che, espressa in latino, suona "Noli me tangere". Ma in quale lingua sarebbe stata pronunciata, all'origine, quella frase? In aramaico antico? Chi mai lo può sapere. Si sa che gli ancestrali testi israelitici, solo alcuni dei quali sarebbero divenuti parte dell'Antico Testamento, furono scritti in lingue diverse, talune appartenute a popoli oramai scomparsi all'epoca della loro traduzione in greco. Questa fu operata dai Settanta saggi convocati apposta ad Alessandria dal principe egizio Tolomeo Filadelfo.
Alla Bibbia in lingua greca, seguì la versione in latino, quella di Girolamo, che è detta la Vulgata, al quale è attribuita anche la versione latina dello stesso Vangelo di Giovanni dove si trova la frase in questione. In italiano "noli me tangere", fino a pochi anni fa, veniva reso con "non mi toccare", o anche "non continuare a toccarmi". Adesso si preferisce tradurlo con "lasciami andare" il cui significato è del tutto differente.
Faccio notare quanto sia ardua l'impresa di trovare una corrispondenza tra ciò che è rappresentato da opere d'arte visiva come quelle che abbiamo di fronte, realizzate con le finalità e i criteri propri del sedicesimo secolo, con l'interpretazione dei testi di riferimento di quell'epoca. E quanto la medesima fonte di ispirazione letteraria sia mutata di senso nel tempo.
La parte inconoscibile del passato, anche di quello meglio documentato, è quella preponderante.
Lascio volentieri agli specialisti disquisire di tali questioni che suppongo siano di difficile soluzione.
I committenti e gli autori degli affreschi maggiori di Camuzzago, tuttavia, presero spunti, oltre che dai testi canonici, anche dalle leggende correnti nell'ambito cultuale del loro tempo.
Jacopo da Varagine, o da Varazze, raccoglie, negli anni intorno al 1250, favole devote, affollate di personaggi di invenzione, che andavano a riempire gli spazi lasciati dalle scritture considerate autenticamente ispirate. Non è il solo a farlo. Tuttavia sua é l'opera più famosa, la "Legenda sanctorum", o "Legenda aurea", la quale ebbe una diffusione amplissima ispirando lavori pittorici celeberrimi come le "Storie della vera croce" realizzati da Piero della Francesca nella basilica di san Francesco ad Arezzo.
Non bisogna pensare che ciò appartenga soltanto alla mentalità medievale.
Il mito di Maddalena, personaggio presente nella narrazione fondativa del cristianesimo, ha attraversato i millenni in continuità con la diffusione dello stesso movimento religioso, giungendo, anche nelle forme più bizzarre, fino a noi.
Basti pensare al romanzo pubblicato nel 2003 dallo scrittore americano Dan Brown "Il Codice da Vinci" dove si favoleggia di una Maddalena che, sbarcata nella Francia meridionale, sarebbe stata la progenitrice delle stirpi reali francesi.
Il grande affresco posto sul lato sud del presbiterio è attribuito, come detto, a Bernardino Butinone da Treviglio e ai suoi allievi, come gli altri due presenti nell'abside del resto. Vi è rappresentata Maddalena, interamente ricoperta dai suoi capelli, che riceve la comunione da san Massimino. La scena si svolge proprio in Provenza, la regione che ella avrebbe raggiunto a bordo di un naviglio portato solo dai venti e dalle correnti. Sullo sfondo della scena principale si vede ancora la stessa Maddalena intenta a pregare presso il romitorio dove s'era ritirata a vivere. La leggenda narra che non le occorresse alcun alimento dato che riceveva il nutrimento del quale aveva bisogno quando si sollevava verso il cielo, come le accadeva di fare frequentemente.
Raccontata questa storia, ad uno dei gruppi in visita con me, aggiungo che mi fa venire in mente il Convitato di pietra del Don Giovanni. Dato che c'è chi me lo chiede, volentieri preciso a cosa mi riferisco.
L'opera "Don Giovanni" viene, il più delle volte, attribuita al solo Wolfgang Amadeus Mozart, che in effetti compose le musiche, trascurando però di citare Lorenzo Da Ponte, cui si deve il testo poetico. La lingua utilizzata da Da Ponte, l'italiano settecentesco, è magnifica per ricchezza ed eleganza. Riguardo quanto occorre qui, dello svolgimento della narrazione, basta dire poco, dell'inizio e del finale.
Nella prima scena Don Giovanni, penetrato nella casa di Donna Anna, uccide il Commendatore intervenuto per difenderla. Tempo dopo, quando la vicenda narrata nell'opera, si va a concludere, Don Giovanni trova, al cimitero, la statua funebre del Commendatore la quale sembra muoversi e rispondere alle domande. Per sfida la invita a cena a casa sua e, inaspettatamente, l' 'uomo di sasso' , all'ora stabilita, entra nella sala del convito.
Dice la statua:
"Don Giovanni, cenar teco
m'invitasti, e son venuto"
Replica Don Giovanni:
"Non l'avrei giammai creduto,
ma farò quel che potrò"
Il padrone di casa ordina che si aggiunga un posto a tavola.
Ma il Commendatore:
"Non si pasce di cibo mortale
chi si pasce di cibo celeste.
Altre cure più gravi di queste
altra brama quaggiù mi guidò"
Poi il Commendatore afferra per la mano Don Giovanni e lo trascina nell'inferno.
Mario Usuelli.