Castello di Lurano
Domenica 12 gennaio 2025
Lurano
Ci riceve un signore, magro, distinto, che dall'aspetto e dai suoi discorsi dovrebbe avere una settantina d'anni. Si presenta come Lanfranco Secco Suardo. E' un conte, proprietario e abitante del castello di Lurano, in provincia di Bergamo dove ci troviamo.
Il cortile, dalla pianta del tutto irregolare, dove non lo è dagli edifici, è definito da un'altissima cortina di bambù. Dentro vi è spazio per diversi alberi tra i quali, altissimi, una quercia e un ginkgo biloba.
Lui indossa una giacchetta di velluto, porta dei mocassini. Noi, i visitatori che accompagna, una cinquantina forse, siamo tutti meglio coperti ma il freddo sarà la cifra costante di un lungo, interessante, pomeriggio iniziato alle 14,30.
Che fare? Dice. Questa estate, assalito dalle zanzare, il freddo lo desideravo.
A chi gli fa notare che non ha un accento bergamasco, il conte Lanfranco rivela di essere nato a Roma dove ha vissuto i suoi primi anni. L'accento vagamente romanesco, acquisito nell'infanzia è rimasto nella sua parlata come un' impronta incancellabile.
L'insieme di edifici è vasto, complesso, stratificato anche nella percezione di chi lo vede per la prima volta. Dà un senso di vecchio oltre che di antico, di trascurato per la difficoltà di fare fronte a una impresa di manutenzione formidabile. Questo non vale per la grande stanza occupata dall'archivio che avremmo in seguito veduta. C'è stato spiegato che ve ne sono parecchie altre al piano superiore, che non visiteremo. Nè, noi profani, abbiamo veduta la parte privata, dove il conte vive con un'altra persona. Tuttavia non sono soli: il castello, nei giorni lavorativi, è popolato da ricercatori e da archivisti. Poi ci sono le scolaresche e i gruppi di visitatori come il nostro, oggi.
Lurano non ha una piazza. E' un borgo cresciuto, come molti altri, arroccandosi intorno al castello.
Nel primo Medioevo, dopo la caduta dell'Impero romano, quando le campagne erano esposte alle ricorrenti incursioni predatorie degli Ungari, ma anche a quelle, non meno pericolose, di bande di ladroni locali, si dovettero predisporre fortini dove cercare riparo per le persone e per le provviste. Edificati, all'inizio, probabilmente, solo con il legno, divennero, via via, ricetti o castelli in muratura. E' intorno a tali strutture che andarono raggruppandosi le comunità. Tuttavia la storia dell'incastellamento ci dice che si sono costruite rocche e manieri anche dopo l'esaurimento della loro funzione originaria.
Il più antico documento sul castello di Lurano, che allora già esisteva, non si sa da quanto, è del 1237.
Questa è stata una terra di confine tra Venezia e Milano dove uno scavo artificiale divideva le due nazioni: il Fosso bergamasco. Era lungo 35 chilometri, largo e profondo 5 metri.
Venezia si era espansa nella pianura lombarda quando gli ottomani iniziarono a contrastarne efficacemente i commerci nel Mediterraneo. Questa pianura è sempre stata ambita: è facile da coltivare, c'è humus, c'è acqua senza che abbia niente da spartire con le paludi adriatiche. Come i romani calcolavano il numero di abitanti che ogni centuria di terra poteva nutrire, così i reggitori della Repubblica veneta fissarono i parametri umani e materiali da utilizzare nell'occupazione delle piane.
Venezia forte nel mare, forte in terra, lo era ancora di più in diplomazia. Bergamo è stata conquistata senza combattere. Ciò veniva messo in evidenza, in ogni dove, nella simbologia del loro dominio. Il leone di san Marco tiene la zampa sul vangelo aperto quando la conquista del luogo dove è collocato fu pacifica. Il libro è chiuso se ci fu lotta.
Venezia, attraversati i territori bergamaschi, cercò contatti con il nord dell'Europa. Il punto più comodo, allora, per raggiungere i Grigioni era il passo san Marco attraverso il quale, dalla val Brembana, si accede in Valtellina.
Iniziamo la visita.
Sotto il portico c'è uno dei cippi che segnavano il confine tra i domini di Venezia e quelli di Milano. Senza motivo, dato che non recavano disturbo alcuno, quaranta chilometri di cippi sono stati strappati, pochi anni orsono, su iniziativa della Provincia.
Su una grande carta che va dal soffitto al pavimento, è disegnata la rete di vie d'acqua che da Bergamo arrivano fino a Lurano. Le stesse sono state, per secoli, assai più importanti delle ordinarie strade sterrate.
Sotto la pavimentazione del cortile vi sono cisterne per l'acqua, uno dei fattori determinanti per l'autonomia negli assedi. Questi non erano generalmente condotti con cruenti assalti alle mura come si vede talvolta al cinema ma si svolgevano piuttosto come giochi di resistenza. Chi, all'interno, non aveva più di che mangiare, si doveva arrendere. Chi, all'esterno, aveva dato fondo al bottino che aveva racimolato nei dintorni, toglieva le tende e se ne andava.
Un muro, nel quale si aprono diverse finestre, d'epoca diversa, dalle dimensioni e fogge assai differenti, è l'occasione per raccontare che nell'antichità sapevano costruire molti oggetti in vetro ma non le lastre. Per escludere il freddo e far entrare la luce si ricorreva all'alabastro, tagliato sottilissimo, ma era raro e costoso. Le finestre ordinarie, necessariamente piccole, venivano riparate da teli spalmati di grasso. Soltanto in età moderna si riuscì a fabbricare del vetro in lastre utilizzando una tecnica che consisteva nel versare la pasta di vetro, appena uscita dal forno, sopra uno strato di mercurio liquido. Oggi, al posto del mercurio, si usa lo stagno.
La grande cucina, dal soffitto ribassato, è buia e oscura. Il conte ci spiega che i camini stretti e decorati sono solo di rappresentanza, quelli d'uso effettivo sono sobri e profondi. Allineati sul trave superiore di questo sono disposti dei cilindri strani: un poco a fatica ne toglie uno per mostrarcelo da vicino. Sono pile, costruite, da una classe di liceali di Bergamo, uguali a quelle inventate da Alessandro Volta. Poi le hanno lasciate lì, a far da testimoni del loro passaggio.
Il piano cottura funziona bene anche dopo tre secoli dalla sua installazione. E' dotato di un efficace marchingegno per regolare i fuochi. Ma non capisco come sia stato strutturato il meccanismo.
Tra il serio e il faceto, il nostro accompagnatore, accortosi che la stavamo osservando tutti, ci dice di quella finestra dalla quale entra gran parte della poca luce che è nella stanza. Contribuiscono al parziale oscuramento delle enormi ragnatele, grandi come i festoni che si usavano alla festa dell'oratorio, le quali ne riducono, non di poco, la trasparenza. Purtroppo, afferma il nostro ospite, quella finestra regge ragnatele vecchie di soli 16 anni, perchè le precedenti, dalle origini ben più remote, furon tolte, a tradimento, da qualche pulitore inconsapevole. E' curioso osservare come i ragni appena nati non tessano nuove tele ma facciano la manutenzione del lavoro dei loro predecessori.
Al piano superiore, in un ambiente ampio, una sorta di galleria dove noi visitatori entriamo bene tutti quanti siamo, ci viene spiegato come in epoche diverse siano mutati gli usi di medesimi ambienti e come sia rapido, seguendo le mode oltre che le necessità, l'adattamento ai criteri subentranti.
Interessante la vasta mappa che indica la suddivisione dei campi com'era intorno al 1400. Tutti i coltivi, in quel periodo, dovevano essere circondati da fossi portatori d'acqua e da alberi a protezione dei venti dell'est. Questo stabiliva il sistema veneziano.
Nello stesso locale si trovano tre gessi attribuiti ad alcuni allievi di Canova. Probabilmente lavori di prova prima di impostare l'opera in marmo. Piuttosto bizzarra la statua di Paride, quello che dovette scegliere, il tapino, fra tre dee, la più bella. Questa scultura lo mostra nudo, ma con una grossa foglia aggiunta, retta da una catenella a mo' di cintura, posta a coprire l'inguine. Sollevo la foglia ma trovo che non vi è proprio niente da nascondere. C'è anche un'altra foglia, forse di riserva, posata ai piedi dell'eroe omerico.
Un comitato di cittadini del paese vorrebbe invitare il Papa a visitare il Santuario di Lurano. Ma il parroco sostiene che non va fatto un invito diretto: occorre passare dalla Curia di Bergamo ma questa, certamente, boccerebbe la richiesta.
Le origini, piuttosto bizzarre, della chiesetta, risalgono al 1400.
Si narra che due cacciatori, l'uno appartenente alla famiglia dei Suardi, l'altro a quella rivale degli Agliardi siano venuti a briga nel contendersi una quaglia che ciascuno di loro affermava di avere abbattuto. Appare la Madonna che fa resuscitre la quaglia, la quale, opportunamente, vola via. Ma questo è stato un miracolo consueto, da poco, si potrebbe affermare, tanto più che l'uccello, probabilmente, scappò non appena ripresosi dallo stordimento. Il miracolo straordinario fu quello di far riconciliare quei due cretini.
Sul luogo dove accaddero fatti tanto singolari fu eretto il santuario della Madonna della Quaglia, ai tempi della peste utilizzato come lazzaretto, tuttora aperto alla frequentazione di fedeli e di viaggiatori.
Quasi in ogni stanza che visitiamo è esposta una scheda dedicata ad un personaggio notevole dei Secco Suardo costituita da un'immagine e da una breve biografia.
Non c'è tempo per considerarle tutte ma almeno di Paolina Secco Suardo si deve dire che visse a Parigi e che fu amica di alcuni protagonisti dell'illuminismo, tra gli altri di Voltaire e di Jean-Jacques Rousseau. Il conte Lanfranco consiglia, a noi che lo stiamo ascoltando, la lettura delle opere quest'ultimo perché vi si trovano idee e concetti, all'epoca assolutamente innovativi, oggi, a torto, dati per scontati.
Stimolato dall'intervento di un signore del nostro gruppo, il conte Lanfranco accetta di accennare a quelle che lui chiama semplicemente 'presenze' senza arrischiarsi né a definirle, né, tanto meno, a spiegarle. Non si dilunga molto. Ma quello che dice può bastare a chi ci crede. Del resto, al punto in cui ci troviamo, ciascuno di noi ha potuto constatare come questo castello di Lurano sia un luogo perfetto per suscitare quel genere di paure, sospetti e apprensioni.
Per alcuni anni, quando visse qui da solo, sentiva, talvolta, movimenti nelle stanze e un andare sù e giù per le scale. Una notte si udì bussare tre volte, violentemente, alla porta. Apertala, non c'era nessuno là fuori. Nè vi erano tracce sulla neve che quella notte aveva imbiancato il cortile.
Comunque, da quando più persone abitano qui le consuete 'presenze' sono diminuite. Anche gli oggetti elettronici, dei quali quasi tutti noi facciamo uso, si dice contribuiscano a scacciare le 'presenze'.
Tuttavia, come ebbe a consigliare un esperto delle materia, nella cucina, inutilizzata da 90 anni, un posto a tavola deve essere sempre lasciato libero. E apparecchiato. Non si sa mai.
In fondo alla galleria c'è la stanza che appartenne a Dino Secco Suardo, il nonno di Lanfranco. Questi fu un personaggio di assoluto rilievo. Pioniere nella costituzione delle cooperative partecipò ai soccorsi in occasione del devastante terremoto di Messina del 1908. In Sicilia riuscì a fondare una cooperativa tra i pescatori di Mazzara del Vallo e quelli tunisini che restò attiva per diversi anni. Un'impresa impensabile ai giorni nostri.
Fu in prima linea nella Prima guerra mondiale sull'Ortigara e sull'altopiano della Bainsizza dove si trattava di andare a sbudellare i giovani uomini che stavano dall'altra parte dietro il filo spinato e muniti di mitragliatrici, avendo i propri ufficiali, quelli di rango inferiore, rapidi a spararti con la pistola d'ordinanza se tentennavi e con i carabinieri alle spalle pronti a fare lo stesso nella schiena. In quegli anni, presso il Comando supremo dell'esercito a Udine, era attivo il 'Laboratorio psicofisiologico', guidato da un frate medico che, terminato il conflitto, avrebbe avuto successo negli ambienti universitari. Là, utilizzando le scoperte di una disciplina da pochi anni introdotta in Italia, la psicologia, si ideavano efficaci tecniche di propaganda patriottica e religiosa. Ma anche nuovi metodi per dividere i soldati allo scopo di ottenerne il controllo e il dominio: mettere militari dalle stesse origini nel medesimo reparto consentiva di suscitare, a vantaggio dei capi, le rivalità di paese. Se uno di loro fosse stato tacciato di vigliaccheria al fronte, una nomea negativa, propalata a casa sua, l'avrebbe potuto marcare per tutta la vita.
Nel dopoguerra Dino Secco Suardo collaborò con Luigi Sturzo nella costituzione del cattolico Partito popolare italiano in ambito lombardo e bergamasco in particolare. Salvo abbandonare la politica quando al medesimo Partito popolare subentrò la Democrazia cristiana che era tutt'altra cosa.
Attraversiamo tre sale allestite nello stile neoclassico, o stile impero. Noto che gli interruttori e gli isolanti dell'impianto elettrico, perfettamente funzionanti, sono fatti di ceramica bianca come era d'uso più di cinquanta anni fa.
Qui viene naturale impostare il discorso su Napoleone e sulle opere d'arte da lui fatte portare via dall'Italia. Ma nel contempo anche qui l'innovativo codice napoleonico mutava gli assetti sociali ed economici tipici dell'antico regime.
Chi ci guida descrive anche i caratteri della moda imperiale che pervase ogni aspetto della vita delle classi agiate. La spedizione in Egitto, se per la Francia fu una sconfitta militare, comportò la scoperta della civiltà egizia: fino ad allora le uniche culture antiche tenute in considerazione dagli eruditi erano quelle della Grecia classica e quella latina.
Le sfingi dipinte sui soffitti dei locali dove ci troviamo, sono riprese dai disegni pubblicati su "La description de l'Egipte" l'opera collettiva che fece conoscere in Europa i caratteri estetici della cultura di quelle terre.
Ora entriamo in una stanza, ampia, luminosa, pulita, dal soffitto alto, tutta occupata da scaffali di metallo con i ripiani completamente riempiti da faldoni accuratamente sistemati. Ciascuno di essi ha un nome e un numero progressivo in bella evidenza.
Il conte Lanfranco ci dice che nel castello vi sono altre stanze impiegate così. Poi ci narra dell' Istituto Centrale per il Restauro che venne istituito presso il Ministero dell'educazione nazionale nel 1939 e iniziò a svolgere la propria attività nel 1941. Tra i principali promotori del progetto, approvato dal ministro Giuseppe Bottai, ci furono Cesare Brandi, che divenne il primo direttore, e Giulio Carlo Argan.
Ciò venne realizzato nonostante i tempi fossero tremendi. Infatti in quel medesimo anno iniziò la guerra in Europa: due anni dopo vi sarebbe stata coinvolta anche l'Italia.
Qui a Lurano è depositata, conservata e organizzata una parte dei documenti, cui fa riferimento anche l'Istituto Centrale del Restauro, che coloro che si apprestano ad operare un restauro, appunto, possono e devono consultare. Infatti il motto dell'istituzione è: "Prima di intervenire, conoscere".
In questo archivio, digitalizzato solo in parte, lavorano 5 o 6 persone a tempo pieno. Purtroppo mancano parte dei fondi dei quali si avrebbe bisogno per assumere altri operatori.
Per ultima resta la chiesa del castello la quale è completamente buia. Non resta che accendere le lampade delle quali sono dotati i telefoni. La piccola cappella è dedicata alle anime del purgatorio che sono raffigurate nella pala dell'altare che il nostro ospite ritiene particolarmente sgraziata tanto più che è stata dipinta da due pittori diversi in epoche diverse. Più interessante sarebbe un bassorilievo collocato alla destra dell'altare. Ma con l'affollarsi di persone e l'ostacolo di tre gradini, pur segnalati ma difficili da individuare, non riesco ad avvicinarmi tanto da potere vedere di che si tratta.
Quando usciamo di nuovo in cortile, la luce del giorno è svanita.
In questo slargo, se mai arriveranno i finanziamenti promessi, si pensa, in accordo col Comune, di ripristinare l'orto botanico che una volta c'era qui.
Poi davanti al portone che dà sulla via Mazzini, il conte Lanfranco saluta tutti stringendo le mani. Si fa regalare una sigaretta e ne aspira il fumo col gusto di chi aspettava giusto il momento per farlo.
La visita termina alle 17,00
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Martedì 14 gennaio 2025
Come di consueto, nel trascrivere gli appunti, necessariamente assai sintetici, presi nel corso della visita, faccio delle verifiche sui siti telematici. Mi accorgo così di avere ampiamente sottovalutato il luogo e la persona che là ci ha accompagnati.
Il castello di Lurano, oltre ad essere la residenza della famiglia che ne è proprietaria, è sede dell'Associazione Giovanni Secco Suardo, della biblioteca, del Centro studi e della banca dati dell'Archivio Storico Nazionale dei Restauratori Italiani. Si parla di dieci milioni di documenti e oltre un milione di immagini, tutte catalogate. Il nucleo iniziale è costituito dall'archivio personale di Giovanni Secco Suardo, protagonista, nel secolo scorso, delle innovazioni che caratterizzano il restauro moderno.
A questo archivio si sono aggiunti, progressivamente, gli archivi personali di molti altri operatori del restauro in Italia. L'elenco, lunghissimo, è di nomi, a me, del tutto profano in materia, sconosciuti.
Tranne uno: Mauro Pellicioli. Un grosso volume con questo nome, posato su un tavolo insieme ad altri in una sala del castello, lo avevo già notato nel corso della visita: "Mauro Pellicioli. La cultura del restauro nel xx secolo".
Fatto sta che quando furono scoperti, nel 1927 da Gian Carlo Borromeo, gli affreschi del Casino di Caccia di Oreno, fu proprio questo Mauro Pellicioli ad ottenere l'incarico della sistemazione degli edifici, della corte rustica e delle altre parti che lo compongono. E' lo stesso Casino da me frequentato più volte al seguito delle numerose iniziative della Delegazione del FAI di Vimercate.
L'archivio personale di Mauro Pellicioli, depositato presso il castello di Lurano, comprende 969 unità archivistiche organizzate in 39 faldoni.
Lanfranco Secco Suardo è il presidente in carica dell'Associazione Giovanni Secco Suardo.
Mario Usuelli
Le immagini allegate sono tutte tratte dal repertorio Google