Funes
Domenica 30 giugno 2024
Funes
L'altra volta, sarà stato una dozzina di anni fa, a San Pietro c'eravamo fermati un po' per caso, il giorno della partenza dopo le vacanze a Ranui, in fondo alla val di Funes, forse per un ultimo caffè, forse per aggiungere qualche ora alla permanenza. Ma era piuttosto tardi e delle celebrazioni della festa, culminanti con la processione, avevamo veduta solo una parte finale. Avevo scattate poche, preziosissime, fotografie con la Fujica, che utilizza le pellicole da 35 millimetri.
Adesso invece, con i facili dispositivi elettronici che abbiamo a disposizione, bisogna cercare di non farsi prendere la mano.
Stavolta siamo arrivati per tempo lasciando l'auto a lato della strada provinciale, fuori dal centro del paese, immaginando che questo fosse bloccato da transenne e divieti. Invece no. Salvo i gruppetti di persone in costume che si andavano radunando, tutto sembrava uguale a come l'avevamo osservato nei giorni precedenti.
Mentre i partecipanti alla processione si radunavano nello slargo che è presso le scuole elementari e la biblioteca comunale, Graziella chiedeva ai pompieri vestiti all'antica e agli uomini dai pantaloni di cuoio e le piume sul cappello, il permesso di fotografarli. Come no?
Le case, qui in val di Funes, sono ben distanziate tra loro anche quando aggregate a formare villaggi. Frequenti quelle che dispongono di un orto, spesso ben curato e concimato con il letame di stalla, perciò fittissimo di verdure. C'è legna, tagliata a misura, appoggiata ai muri esterni o a piccole cataste, pronta per la stufa o il camino. Non ho notato file di villette dagli ingressi sigillati né, tanto meno, condomini, chiusi in attesa dell'alta stagione, come se ne vedono in altre località turistiche. Non è posto di seconde case.
Sono le 9,30 quando, già ben organizzati, distinti dall'abbigliamento, si recano in corteo, in chiesa, per la messa.
Quando ne escono, portano con sé anche alcune statue fissate sulle loro basi con le stanghe. Distinguo quelle della Madonna, del Sacro Cuore e di una santa munita di falcetto e rastrello.
Gli stendardi, levati dal loro ripostiglio, addossato alla parete esterna della chiesa sono enormi. Retto ciascuno da un solo uomo, altri uomini devono tendere delle corde per mantenerne l'equilibrio. Colorati, ricamati, ricchissimi e variegati con lo svolazzare dei lembi che ne suddividono la parte inferiore, contribuiscono grandemente alla spettacolarità della manifestazione. Altri stendardi, a bande bianche e rosse, elevati presso le case, anche quelle sulla montagna presso i pascoli, contribuiscono a dare una sensazione di festa.
Il più anziano dei preti che attendono alla cerimonia reca l'ostensorio muovendosi sotto il baldacchino retto da quattro addetti. Due uomini, nel costume tradizionale, lo scortano, camminandogli a fianco.
Altri gruppi, precedono o seguono, tra i quali risalta la banda, per il numero e la compattezza dei suoi componenti.
Non ho visto se la piazza sia soltanto il punto di svolta o vi si trovi un qualche riferimento, un'icona benedetta o da benedire.
Tornati tutti in chiesa, la funzione è proseguita per almeno un'altra mezz'ora. Alla fine, la banda si è schierata nel prato antistante la chiesa, quasi di fianco al monumento ai caduti - moltissimi - delle due guerre mondiali. Qualcuno è stato premiato per qualcosa senza che io capissi chi fosse e perché. Poi hanno suonato la "Marcia di Radetzky". Memorabile.
Rispetto a quando la vidi in precedenza, m'è sembrato che quest'anno vi fossero meno persone in chiesa. Allora la ricordo colma, adesso diversi posti sulle panche erano liberi. Anche al corteo parteciparono alcuni altri gruppi, compreso uno composto da bambini che quest'anno non c'era.
Per consentire lo svolgersi della processione, probabilmente, non è stato chiuso alcun parcheggio bastando lo spazio ordinario disponibile nelle vie. Sono stati invece, per necessità, fermati, forse solo per una mezz'ora, i motociclisti, che, a frotte, per salire al passo della Erbe, attraversano il paese, quindi lambiscono la base del muraglione che sorregge la chiesa e il cimitero che la circonda. Là vi è una strettoia che comporta una curva ripida: non ci si passa in due.
Gli abitanti di Funes, poco più di 2.500, sono distribuiti tra le frazioni di San Valentino, Santa Maddalena, Tiso, San Giacomo, San Pietro, che è la località principale, oltre che in molte fattorie, alcune delle quali si vedono sparse sui pendii che formano la valle. Contando i posti sulle panche della chiesa, si può dire che alla manifestazione hanno partecipato circa trecento persone ovvero la grande maggioranza di chi ha potuto lasciare la propria abitazione o il lavoro. Lo stesso albergatore presso il quale avevo l'alloggio, mi diceva che, questa domenica mattina, disponeva soltanto del minimo della forza: tutti i dipendenti avevano chiesto di assentarsi per partecipare alla processione.
Questo potrebbe spiegare perché lungo il percorso, a far da spettatore, non ci fosse nessuno degli abitanti del luogo. Pochissimi i turisti: non più di una decina appostati a far fotografie sul sagrato e nel cimitero. La festa non era stata organizzata per loro.
Naturalmente per la messa, l'omelia e i canti, tutti a me sconosciuti, è stata utilizzata la lingua tedesca tranne che per l' "Ave verum corpus", nella versione musicale di Mozart, dove il testo è in latino.
Il notevole livello qualitativo sia del coro, che ha cantato dentro la chiesa, che del complesso musicale di strumenti a fiato e a percussione che ha operato nei tratti all'aperto, presuppone e implica una lunga pratica e una competenza quasi professionale.
La cura, precisa e attenta, di ogni aspetto della manifestazione, dall'abbigliamento dei partecipanti alle statue portate sulle spalle così come le croci e gli stendardi ostentati, lo stesso suo ripetersi, negli anni, in apparenza sempre uguale a sé stessa, non sarebbero possibili senza la massiccia partecipazione indicativa della forte coesione tra gli abitanti della minuscola valle di Funes.
Una compattezza sociale che in una festa come questa viene rappresentata ma che nel contempo, la medesima festa, contribuisce fortemente a costruire e a tramandare.
Tuttavia, poco al di sotto di questa scenografica espressione della comunità locale, ovvero sottostante allo sfoggiato accordo di convivenza sociale, operano necessariamente i ruoli sociali reali che immagino rigidi e difficili da modificare.
Se così fosse davvero, a coloro che non trovano sostegno e conforto presso un ambiente siffatto, non resta che vivere da eremiti o andarsene.
Mario Usuelli.
Le fotografie sono di Graziella Colombo.