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Rifugio Cai Carate

Rifugio Cai Carate

Mario   Usuelli

Lunedì 25 luglio 2022


Carate


Accetto di passare un fine settimana presso il rifugio Zoia, in alta val Malenco, con l'esplicito intento di utilizzare la sola giornata, sabato, interamente disponibile, per tornare al rifugio Carate. 

Si tratta di venerdì 22, sabato 23 e domenica 24 luglio 2022.

Ci sono un papà, una mamma, due figlioli ultra ventenni, la loro zia ed io come aggregato. Presso lo Zoia ci affittano una stanza con letti a castello a sei posti che si dimostrerà abbastanza comoda. Anche degli altri aspetti, dell'ospitalità presso il rifugio Zoia, non ho che da dire bene.

Io, Carmen e Chiara partiti la mattina di venerdì ci fermiamo a visitare i forti di Fuentes e di Montecchio situati presso Colico. Molto interessante.

Con gli altri, Paolo, Lucilla e Alessandro, partiti nel pomeriggio, ci riuniamo a cena.

Dobbiamo decidere il da farsi facendo capo alle nostre esperiezne, alle cartine, agli stampati presenti in rifugio e ai consigli dei rifugisti che si presume siano pratici dei luoghi.

Per la mattinata di domenica è presto fatto. Accogliamo tutti l'idea di Giulia, una delle addette al servizio ai tavoli, di recarci all'alpe Poschiavina. Un percorso quasi in piano, panoramico e tanto breve da consentire un placido rientro allo Zoia per l'ora di pranzo e quindi cogliere l'opportunità di partire presto scansando il traffico del rientro.

Chiedo chi vuole salire, sabato al rifugio Carate con me. Alessandro accetta subito. Chiara è possibilista, per lei, in fondo è lo stesso che fare altro.

Carmen, che alla Carate ci salì tanti anni fa, ha un ricordo terribile del percorso, dice che è lunghissimo, tutto al sole, spossante. Lei non ci verrà. Lucilla resterà insieme a Carmen.

Dico qualcuno dei miei argomenti.

In questi paraggi sono tornato più volte nel corso di molti anni. Ho dormito presso i rifugi Marinelli-Bombardieri, Cristina, Bignami e nello stesso Zoia che ci ospita in questi giorni. Ho fatto il giro del lago di Gera, sono salito diverse volte sul pizzo Scalino, due volte in vetta attraversando il ghiacciaio. Anche al rifugio Carate sono stato diverse volte. Ora, che è qui a ragionevole portata, mi piacerebbe proprio tornarci. 

Carmen ha incorniciato una fotografia che le feci io. La tiene tiene ancora oggi sul comò. Si vede lei davanti all'ingresso del Carate mentre il vetro a specchio della porta riflette la mia immagine. 

Mi viene anche uno scrupolo ad andare al Carate, adesso, senza Giovanni Pennati, in vacanza altrove, che tiene questo rifugio nei primi posti nella lista di quelli da raggiungere.

Paolo, che non ha esperienza in queste cose, cerca un termine di paragone per avere idea di che significhino i 700 metri di dislivello che dividono i rifugi Zoia e Carate.. Qualcuno accenna alla vetta del Resegone partendo da Morterone. Va bene come esempio, dato che sia Chiara che Alessandro hanno già percorso quel sentiero e tanto più che là il dislivello è di quasi 800 metri.

Da queste parti Paolo non c'è mai stato. Sente nominare il rifugio Carate solo adesso, da noi. Non si capisce se sia interessato all'escursione che propongo, forse aspetta di ricavare, dai nostri discorsi, dati sufficienti per farsi un parere proprio.

Comunque sia, Paolo dice che non bisogna dividere il gruppo. Ripeterà la stessa frase, talvolta a mezza voce, dopo ogni argomentazione. Tanto che, ad un certo punto prendo da parte Alessandro e gli dico: va bene se andiamo sù ma facciamolo senza lasciaci alle spalle mugugni, dubbi, diffidenze e apprensioni. Non sto proponendo un itinerario avventuroso ma la via normale che raggiunge un classico rifugio d'alta montagna. Senti tuo padre, anche se sei maggiorenne da un pezzo, se non si fida lui, non andiamo noi.  E poi lui non vuole che il gruppo si divida, non voglio essere io, un estraneo, a rompere qualche equilibrio familiare.

Il titolare del rifugio, che interpelliamo, dice che per arrivare al Carate basta un'ora e mezza, il sentiero è in ottime condizioni, il tempo è stabile quindi le condizioni per farlo sono perfette. Forse è troppo ottimista: una scheda a disposizione, con altre, degli escursionisti, indica due ore o poco più.

Partendo dallo Zoia verso le nove arriveremmo alla meta entro mezzogiorno, comodamente.  Macché. Non convinco.

Va bene, vado da solo, dico io. Carmen è categorica: "Non lo sai che in montagna non si va mai da soli ? " Comincio a sentirmi a disagio, un poco fuori posto. 

Va bene, rinuncio. Andremo, tutti insieme, da un'altra parte. Qualcuno accenna al rifugio Cristina.

Il pensiero mi va ai molti che si incontrano, da soli, per i sentieri, anche in questi luoghi. Loro, penso, hanno fatto la scelta giusta perché adottano il passo che è più congeniale per loro, per il tempo che essi stessi scelgono, per andare dove gli pare senza farsi menare per il naso da altri.

Chiara scopre, tra gli stampati a disposizione degli avventori, le schede per la raccolta dei punti del concorso Girarifugi. Questi sono rappresentati con dei timbri cui corrisponde, grosso modo, il valore di ciascun rifugio espresso in casette. Lo Zoia, per esempio, che si raggiunge con facilità, vale una sola casetta; il Cristina due; il Carate tre. Con venticinque casette ci si aggiudica un premio.

La maglietta tutta colorata che indossa oggi Carmen la ottenne partecipando al concorso Girarifugi di qualche anno fa.

Sabato, dunque, ci avviamo tutti insieme verso il rifugio Cristina. 

Lucilla fa la mamma: richiama i suoi figlioli ogni volta che le sembra si avvicinino troppo al bordo del sentiero. Sostiamo al rifugio Cà Runchash, che vale due casette, per un caffè. Anche al Cristina, altre due casette, ci limitiamo a prendere del caffè dato che abbiamo con noi i panini che ci ha forniti il rifugio dal quale proveniamo. Il pizzo Scalino ha la vetta nascosta, nebbie coprono anche i più lontani Disgrazia e Bernina. Più preoccupante è un nuvolone nero che avvolge il Sasso Moro il monte che incombe, al di là del lago inferiore, proprio sopra il rifugio Zoia presso il quale dobbiamo tornare. Il sole va e viene. Io avrei tirato per la via più breve e lo dico chiaro. Tuttavia prevale la scelta di Paolo di salire verso il passo di Campagneda nei dintorni del quale vi sono dei laghetti. Ne raggiungiamo alcuni quasi privi d'acqua, oramai delle torbiere. Torniamo quando Lucilla si stanca di oltrepassare i fili elettrificati che delimitano i prati dove pascolano le mucche.

Intanto se ne è andata via più di un'ora. Tuttavia la temuta pioggia, che avrebbe reso scivoloso il sentiero, fatto tutto di grossi sassi, non è arrivata. Meno male.

Se ci avesse colto un temporale avrei provato il rammarico per non avere tentato di impedire un'aggiunta, un poco avventata, del percorso necessario per il rientro alla base.

Sabato sera, Chiara, a caccia di casette, scorre sistematicamente l'elenco dei rifugi e degli alpeggi che aderiscono all'iniziativa. Tocca dirle che sono quasi tutti irraggiungibili avendo a disposizione la sola mattinata di domenica.

L'intenzione, come deciso già venerdì, sarebbe di fare una gita breve in mattinata, tornare allo Zoia per il pranzo verso le dodici e trenta, pagare e partire presto per evitare le code e gli intasamenti di traffico che di certo si formeranno.

La proposta buona, come già detto, era venuta dalla rifugista Giulia già venerdì sera: l'alpe Poschiavina. Sembrava certo che ci saremmo recati tutti là.

Tuttavia si scopre che, su una delle varianti dei sentieri che portano al Carate vi è il rifugio Cesare Mitta, che vale due casette. In un'ora, secondo il rifugista dello Zoia, si può essere là. Chiara e Paolo sono pronti, Alessando si aggiunge. Lo propongono anche a me ma dico loro di no. Anche Carmen e Lucilla, non ci pensano nemmeno ad aderire alla nuova e confermano la meta iniziale.

Ma come? Ieri mi avete indotto alla rinuncia del mio proposito di gita con argomenti che non condivido, adesso, belli belli, vorreste che vi accompagnassi per un tratto del sentiero che avrei voluto percorrere per intero, per tornare indietro prima della meta che avevo in mente.

Di più. Chi sosteneva - solo ieri - che una compagnia non deve dividersi adesso la divide. A quanto si vede non si trattava di un imperativo categorico con buona pace sia per me che per Kant.

Mentre aspetto che siano pronte le mie due accompagnatrici, con una bella tazza di caffè lungo, seduto ad un tavolino del rifugio, da una casetta, Poschiavino, che è prossimo al parcheggio di Campo Moro, trascrivo sul mio taccuino qualche considerazione sconsolata. Tuttavia, a quel punto, non potevo certo immaginare il seguito.

Per raggiungere il luogo che abbiamo scelto, io, Carmen e Lucilla, attraversiamo prima i grandi parcheggi situati alla base della diga superiore, occupati, in questo momento, da moltissime auto, poi risaliamo un passaggio aggrappato a sbalzo sul muraglione della diga medesima. Giunti al bordo dell'enorme costruzione si apre a noi la vista grandiosa del ghiacciaio di Fellaria che si scioglie nel lago di Gera il quale è piuttosto basso a giudicare dai segni lasciati dall'acqua sulle rive. Si scorge, cercando bene, anche il sentiero che va al Bignami e il rifugio stesso, là, alto su un poggio. Sono parecchi gli animosi che si cimentano sulle pareti chiodate che si affiancano al viottolo pianeggiante che percorriamo. C'è molta gente, mai folla: lo spazio è tanto. L'alpe Poschiavina è fatta di poche baitelle curatissime, l'acqua della fontanella che è nel mezzo è buona e freschissima come ci si aspetta. Sia Carmen che Lucilla lamentano di avere camminato troppo a lungo il giorno prima. Qualche dolore ai muscoli affiora qua e là. Ieri, con la variazione effettuata al ritorno dal Cristina si è, evidentemente, esagerato.

Facciamo tante foto. Alcune le inviamo subito a chi riteniamo possano interessare.

Torniamo camminando pian pianino. Saremo comunque allo Zoia per l'ora concordata coi gestori per il pranzo.

Sui nostri telefoni, che ricevono solo a tratti il segnale, giunge una fotografia scattata da qualcuno degli altri tre della nostra compagnia, presso il rifugio Mitta. Poi, dopo qualche tempo, i nostri, ci dicono che ritarderanno il ritorno di parecchio. Infine ci trasmettono anche l'immagine dell'insegna che è posta sul rifugio 'CAI di Carate' a metri 2.636 di altitudine. 

Dunque sono arrivati fino al Carate ! Bravi, ma senza il resto della compagnia, senza di me. La beffa è completa. Un esito da attribuire più all'improvvisazione dilettantesca che alla malizia.

 

Allo Zoia sarebbero rientrati infatti con oltre un paio d'ore di ritardo rispetto all'orario concordato. Alessandro arriva in anticipo di mezz'ora rispetto agli altri due. Mentre noi altri, io e Carmen intendo, siamo già pronti per partire verso casa.

A questo punto cosa gli si può dire? Niente.

Però non si fa così, non si ignorano le esigenze, i limiti e le aspettative degli altri componenti la comitiva, Non ci si dirige verso luoghi diversi da quelli comunicati alla partenza perché rende difficile o impossibile ai soccorritori raggiungere il luogo di un eventuale incidente. In montagna spesso i normali telefono non funzionano. Non si fanno le corse, non si lascia indietro nessuno. E poi non si aggiunge meta a meta, a quella maniera, improvvisando, cedendo alla foga, senza avere idea dei tempi richiesti per la salita e di quelli indispensabili per il ritorno. 

Un bel piatto di polenta circondata da carni succulente l'avrebbero trovato comunque anche loro. Anche giungendo fuori orario. Ma affamati, stravolti dalla fatica e dal sudore avrebbero mangiato di gran fretta rischiando di stare male. Non si fa così una gita. 

Chiara aveva portato con sé tutte le schede del Girarifugi che aveva compilate. Sicché ora anche la mia riporta le tre casette del Carate anche se non ci sono stato.

Oggi che è lunedì, mentre scrivo, vedo che Paolo ha pubblicato sul suo 'stato' di WhatsApp le fotografie delle insegne dei rifugi Zoia; Cà Runcash; Cristina; Mitta e Carate. Un bel trofeo.



Mario Usuelli

 

Oltre a me, hanno partecipato alla gita: Paolo Corti; Lucilla Molgora; Chiara Corti; Alessandro Corti e Carmen Corti.


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